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Replying to DIMENTICA IL MIO NOME DI ZEROCALCARE - recensione di Francesca Sperelli

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  1. Posted 20/11/2014, 12:59
    condivido la recensione.
    bel libro, toccante e ironico.
    dopo DODICI avevo una paura matta per questo libro, che mi ha sorpreso molto.
    bravo bravo bravo!
  2. Posted 18/11/2014, 21:35


    Dites-moi d’où il vient

    Enfin je serais où je vais

    Maman dis que lorsqu’on cherche bien

    On finit toujours par trouver.

    (Papaoutai- Stromae)



    “È difficile trovare una persona capace di rispettare  questo silenzio. Rispettarlo, ma anche riempirlo. Non lasciarlo alle ombre. Perché il silenzio è l’acqua in cui nuotano.”


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    È diventato famoso grazie al suo alter-ego dalle inconfondibili sopracciglia in compagnia di multiformi aspetti del suo carattere rappresentati sotto forma di cartoni animati, personaggi famosi o animali (“La profezia dell’Armadillo”, Bao Edizioni), per poi vederlo destreggiarsi in una ritratto della propria infanzia dolceamaro in “Un polpo alla gola”.

    L’abbiamo visto combattere, perdere, vincere lo sbattimento quotidiano nelle mitiche strisce di “Ogni maledetto lunedì su due” e, infine, rimanere perduto in un limbo nel corso di un’apocalisse zombie in “Dodici”.

    Dopo una frenetica attesa Zerocalcare regala ai suoi innumerevoli lettori un nuovo romanzo a fumetti, “Dimentica il mio nome”, sempre edito dalla Bao.

    Il libro è stato venduto anche in edizione speciale con copertina disegnata sempre da Zerocalcare ma i colori di Gipi, supremo maestro dell’acquerello in grado di illuminare perfino l’inferno.

    Tentare di descrivere la copertina variant non renderebbe l’immensità che ho provato.

    Dal punto di vista del disegno trovo vi sia molta più dinamicità e profondità delle scene d’azione perfino rispetto a “Dodici”, quando prima i personaggi rimanevano fermi a scambiare battute o immobili nello sfondo.

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    E adesso è il caso di tirare il freno a mano, mettere il motore a folle e tenere bene a mente che il viaggio dell’anima che si farà attraverso l’Autore e il suo amico armadillo richiede una non indifferente dose di coraggio oltre allo spegnimento del navigatore.

    Questa vita lascia i lividi, indubbiamente. E non è nemmeno tanto parsimoniosa nel tirare schiaffi, nel momento in cui la tua mente registra che sei sopravvissuto a una persona cara, specialmente poi se quella era il tuo sangue.

    Il nostro eroe di Rebibbia deve fare i conti con un gravissimo lutto, la perdita di quella che può essere considerata la sua Seconda Madre, Uguette.

    Oltre a tutto il carico di dolore che esso comporta, deve cercare di riempire silenzi che gridano all’interno del passato della propria famiglia, compiere un terribile viaggio alla (ri)scoperta di sé stesso e trovare un fondamentale tassello del puzzle chiamato Io.

    La storia principale, che di per sé richiama tutti quegli spauracchi contro cui abbiamo dovuto combattere, vincendo o perdendo (lo scontro tra generazioni, la mancanza di dialogo, l’incapacità di saper porre le giuste domande sulla storia della propria famiglia).

    Come di consueto, ad alleggerire il terribile carico emotivo che ha dovuto affrontare l’Autore e che toccherà di seguito al lettore sopportare, arrivano strepitose chicche comiche (come un inaspettato Leonida del film ’300 nei panni del pediatra!).

    Allo stesso modo de “La profezia dell’armadillo” e “Un polpo alla gola” la storia vera è indissolubilmente intrecciata a una storia non realmente avvenuta, una favola che parla di libertà come possibilità di respirare a pieni polmoni aria pulita al di là di ogni preconcetto o convenzione che la società contemporanea impone.

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    Una favola di una dolcezza straziante quella che narra dell’amore tra una volpe(qui è evidentissimo l’omaggio di Zerocalcare a Collodi nonché il riferimento alle leggende giapponesi sulle kitsune) e la nonna del protagonista: due mondi, due anime che non dovevano assolutamente incontrarsi, altrimenti l’ordine costituito sarebbe precipitato in un errore di sistema. La ragazza adottata dalla famiglia nobiliare caduta in disgrazia incontra uno spirito libero e ribelle…eppure non in una sola scena appare un’atmosfera di una dolcezza disgustosa come quella del miele. Non c’è una sola scena di bacio.

    Soltanto l’ineffabile abilità di chi posso definire, senza paura di smentite, un giovane maestro è in grado di far cogliere per un istante al lettore quanto pervicace fosse il legame tra i due amanti, nonostante i nemici non dessero loro un attimo di quiete.

    Saranno proprio fantasmi del passato e rimorsi la pesantissima eredità che Uguette trasmetterà a Calcare, fantasmi che si faranno forza grazie all’incertezza di giovane circa la storia dei nonni, portandolo all’incapacità di saperli combattere proprio perché non ha avuto modo di conoscerli.

    Il climax raggiunge livelli vertiginosi nel momento in cui il nemico delle volpi per eccellenza invade il loro nascondiglio proprio a causa dell’ingenuità di Calcare. Si tratta di un orso, allegoria dei controlli invasivi di uno stato a regime poliziesco, che si alimenta grazie alle scelte dei cittadini che preferiscono delegare a un potere proveniente dall'alto qualsiasi incombenza del vivere quotidiano in cambio di tranquillità.

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    E soltanto quando ciò che di più caro al protagonista, la madre, viene messo in pericolo, troviamo l’eroe di Rebibbia finalmente prendere la rincorsa e difendere a spada tratta, situazione mai accaduta nei romanzi precedenti.

    Come ogni altro romanzo di Zerocalcare, anche “Dimentica il mio nome” ha delle tavole che rimangono indelebili, che arrivano a toccare il lettore fin dentro l’anima, lì dove nessun altro è autorizzato all’accesso, perché si è troppo gelosi di una gioia inenarrabile ed effimera o di un dolore custodito con lo stesso rispetto con cui si venerano i morti.

    Io mi limiterò soltanto a esporvi le tavole che mi hanno segnato fin nel profondo. A voi tentare di trovare una descrizione che sia all’altezza di tanta superba delicatezza e sfrontata bellezza.

    Reputo “Dimentica il mio nome” se non l’apogeo comunque un passo nella crescita dell’Autore che rimarrà sicuramente impresso nella coscienza di ogni lettore affezionato all’eroe di Rebibbia, tanto da far dubitare sulla sensatezza del divieto di considerare Maestro con la M capitale un ragazzo di soli trent’anni.

    Zerocalcare è stato in grado di tradurre con inchiostro su carta le contraddizioni e le dinamiche dell’era contemporanea, parlando di situazioni che ognuno di noi vive nel quotidiano (ad esempio, quando sclero con mio padre che non sa far funzionare l’Ipad!), facendo interagire tra loro i diversi aspetti della propria coscienza.

    Ciò che, però, rende assolutamente diverso ma di pari grado quest’ultimo libro rispetto alla “Profezia dell’armadillo” non è tanto lo spunto autobiografico, quanto il pezzo di cuore che è stato regalato dentro il libro e a essere divulgato.

    Tutti abbiamo avuto una figura estranea ai genitori che ci ha allevato con un amore molto spesso ben più solido e disinteressato di chi ci ha messo al mondo.

    Ancora non riesco a spiegarmi la ragione di una scelta così coraggiosa, come quella di mettere a nudo, nonostante il ricorso alle allegorie, il rapporto controverso con la Seconda Madre.

    E’ una storia, come ho già scritto, di una dolcezza inenarrabile ma che rischia di mettere con le spalle al muro e far male.

    Perché si parla di silenzi che non sono stati riempiti quando c’era tempo, di legami e orrori ben più grandi che una persona sola può affrontare che sopravvivono al logorio del tempo.

    Dell’incapacità di vedere soffrire chi si è sempre ritenuto un ghiacciaio eterno impossibile da far crollare.

    Di rimpianti e rimorsi che si dovranno cullare dentro, anche se pungeranno come scorpioni e non si avrà un cielo abbastanza grande e vicino a cui poter urlare il proprio dolore.

    Ma anche della forza che non si credeva di trovare dentro sé stessi, e di saper camminare con altèra eleganza , leggiadria con i pesi morti legati ai piedi
    .

    E quanti di noi possono definirsi veramente uomini alla fine della loro agogè?


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