BACK TO THE BASICS: il blog

  1. CAPITOLO 5 di Matteo Pisaneschi

    By aver2330 il 24 June 2013
     
    1 Comments   95 Views
    .

    -5-



    Nonostante quella promessa, Trina al momento stava procedendo in direzione opposta, lasciandosi Savannah alle spalle. Le sue mani erano così serrate sul volante che le dita le si erano completamente sbiancate. Anche le braccia iniziavano ormai a dolerle in quell’estenuante lotta per il controllo dell’imbarcazione. Non erano solo le turbolente condizioni dell’Intracoastal Waterway a renderle arduo il compito: dentro di sé Trina stava combattendo una battaglia ben più tormentata di quella esterna con i marosi, imponendosi di mantenere la direzione verso Brunswick con una violenza tale da lacerarle l’anima. Avrebbe volentieri lasciato andare il volante, abbandonando il gommone in balia degli elementi, se questi l’avessero ricondotto verso Savannah.
    Era quasi ironico. Per tutta la vita aveva cercato di fuggire dalla sua città natale, odiandone le ristrettezze geografiche e ancor più quelle caratteriali dei suoi abitanti, in gran parte assuefatti al WORLDWEB. Ora che le acque la stavano finalmente spingendo lontano, invece, desiderava tornare indietro. Non era certo la paura dell’ignoto, quel brivido che il taglio netto col passato gela la schiena quando si muove primo passo lontano da casa, a contraddire quella sua aspirazione. Di Savannah le importava poco. Per certi versi era quasi felice del suo destino, come se quel disastro fosse la giusta punizione per la malriposta fede nella Rete.
    Suo fratello Bo’ però era ancora là, abbandonato a un destino che non distingueva fra “Cattivi Sognatori” e fedeli al WORLDWEB. In fondo, nonostante le diversità, erano tutti sulla stessa barca, proprio come in quell’occasione: cinque persone senza alcun legame fra loro, addirittura sconosciute o in acceso contrasto, che il caso aveva riunito sul suo gommone. Non sarebbe stata una convivenza facile. La stabilità del loro improvvisato micro sistema sarebbe potuta dipendere anche da una singola parola fuori posto.

    24oj


    «Ma perché non vuoi dirigerti verso Brunswik?»
    La voce di Greyson, in lotta contro il rombo del motore e lo sciabordio delle acque, strappò Trina ai suoi pensieri.
    Conosceva bene il suo vicino e la domanda, pronunciata quasi con stizza, suonava più come: “Bella, faresti meglio a muoverti a portarmi dove ti dico.”
    Tipico di Greyson. – pensò Trina.
    Chissà quanto si era sforzato per mascherare quella sua richiesta in un interrogativo più cordiale possibile. Greyson poteva anche essere un ottuso conservatore, ma non era stupido: se salvarsi la pelle dipendeva dallo scendere a compromessi con Trina – nonostante l’attrito reciproco – l’avrebbe fatto. Sperava solo che anche lei si sarebbe dimostrata altrettanto ragionevole.
    «Perché, pensi che a Brunswick la situazione sia diversa?»
    «La Rete lo definisce un porto sicuro.» obiettò Greyson controllando il suo smartphone.
    «La stessa rete che non aveva previsto tutto questo?» ridacchiò beffarda Trina «Oh, adesso sì che mi hai convinto.»
    Greyson ammutolì. Non poteva darle torto: perché ostinarsi a cercare risposte in uno strumento che si era dimostrato così fallace? In fondo Greyson non era un web-addicted, disprezzava gli oltranzisti del WORLDWEB quasi quanto i “Cattivi Sognatori”: per lui il sistema non era un mostro a cui ribellarsi, né un padrone da servire ciecamente. Il sistema doveva essere accettato spontaneamente perché era giusto, era l’ordine senza il quale la società non poteva sopravvivere. Il caos seguito all’alluvione, quando tutti gli schemi erano ormai saltati in favore dell’egoismo personale, ne era la dimostrazione.
    La risposta di Trina aveva però rintuzzato in lui la sensazione di esser stato tradito da ciò in cui aveva sempre creduto. Era alla deriva, nello spirito come nel corpo, eppure si ostinava ad aggrapparsi a quei vecchi schemi come un naufrago a un salvagente. Solo che quel salvagente era di piombo, e se non se ne fosse liberato sarebbe presto affondato con esso.

    «Ti ho messo la pulce nell’orecchio, eh, Greyson?» disse compiaciuta.
    Greyson non poteva che concordare e chiedersi se anche Brunswick avesse subito lo stesso destino di Savannah. L’ipotesi era inquietante, così cercò di scacciarla con una battuta.
    «Andiamo, Trina. Non stiamo parlando del diluvio universale. Credi forse che Dio abbia rovesciato su tutti gli Stati Uniti una punizione da Antico Testamento?»
    «Sarebbe un bel figlio di puttana in questo caso, ma non c’entra niente Dio con tutto questo. Nemmeno ci credo, io, poi, in Dio.»
    «Non bestemmiare!» le urlò contro Charles Donald. L’offesa provata per quell’invettiva contro il Signore in cui credeva aveva alterato il suo volto, già provato dalle intemperie, in una maschera iraconda. Era sì un cattolico osservante ma in altre circostanze non avrebbe certo sbottato in quella maniera. Trovarsi su un gommone in balia della tempesta insieme alla moglie Sarah e al figlio Sam lo aveva però messo in una condizione di profondo stress: vedere la propria famiglia in pericolo di morte era molto più dura di quanto avesse mai pensato, sebbene in cuor continuasse ad avere fede in un Dio che li avrebbe certamente salvati. Sentirne nominare il nome invano, addirittura sconfessarlo, era un qualcosa che non poteva tollerare. Non per mera osservanza religiosa ai comandamenti, ma perché distruggeva la sua sola speranza di salvezza. Una fiducia che Trina, come già aveva fatto con Greyson e la Rete, aveva messo in dubbio.
    «Senti, Charley, vero? Non m’importa niente di offendere o no il tuo Dio. Dovresti preoccuparti invece di non offendere me.»
    «Cosa vuoi dire?»
    «Che questa è la mia» disse ponendo l’accento quell’ultima parola «barca. Voi siete ospiti. E non è stato Dio a portarvi in salvo, ma io. E faresti bene a ricordartelo se vuoi sopravvivere.»
    Aveva ragione. Se non fosse arrivata Trina, quel gommone, che poche ore prima Charley aveva ritenuto il luogo più sicuro per sé e la sua famiglia, si sarebbe ben presto trasformato in una tomba, sommerso dalle onde che si erano rovesciate sul porto. Trina invece li aveva condotti fuori pericolo, per quanto possibile. Charley le era grato per quello, ma l’ultima frase della ragazza era suonata come una minaccia. E non gli piaceva.

    «Io ti ringrazio per questo, ma» precisò brusco puntandole il dito contro «non minacciare la mia famiglia, capito?»
    «Altrimenti? Mi butti in acqua? Ti metterai tu alla guida, poi? O tu?» disse rivolgendosi a Greyson.
    I due uomini avrebbero dovuto arrendersi all’evidenza. Trina era l’unica a saper pilotare il gommone e dovevano affidarsi a lei per uscire da quell’inferno. D’altra parte non a nessuno dei due piaceva sentirsi rinfacciare un favore che sembrava loro dovuto.
    «Questo non ti da il diritto di trattarci così. Se non ci volevi a bordo potevi lasciarci morire a Savannah, come tutti gli altri.»
    Trina trasalì. Non fu l’accusa a ferirla quanto, come per Charley e Greyson, la distruzione delle proprie speranze.
    Morire a Savannah, come tutti gli altri. Come Bo’.
    No, Bo’ è vivo. – si ripeté come un mantra – Bo’ è vivo.
    Allora perché si sentiva così in colpa? Aveva quel pungolo dentro il cuore da quando erano salpati, e ora Charley lo aveva spinto più a fondo con le sue parole.
    «Forse avrei dovuto.»
    «Io te l’avevo detto.» s’intromise Greyson.
    «Tu stai zitto. Ancora devo capire cosa mi ha spinto a salvare un trippone odioso come te. Forse dovrei gettarvi tutti a mare come zavorra e tornare indietro.»
    «Provaci pure, piccola.» le rispose spingendo l’enorme pancia in fuori per farle capire l’errore di fondo nella sua minaccia.
    «Basta!»
    Sarah era intervenuta a placare il diverbio, nonostante avesse in braccio il figlio addormentato. Era una donna esile, dalla carnagione pallida e i capelli biondi molto chiari, eppure in quell’occasione stava dimostrando una forza della quale non le si sarebbe dato atto. Anche lei si meravigliò dell’energia che si sentì scorrere dentro, capendone la necessità. Stavano tutti perdendo la testa, riversando sugli altri i propri errori e incertezze. Qualcuno doveva riportare la calma e questo compito, a quanto pareva, toccava a lei.
    «Vi state comportando come animali rabbiosi! Tanto valeva restare in città!»

    Il gruppo ammutolì. Erano fuggiti dal disastro riversatosi su Savannah, ma la follia che aveva colpito gli abitanti quando le acque avevano invaso la città sembrava averli seguiti. Salvarsi dall’alluvione solo per scannarsi fra loro sarebbe stato imperdonabile. Si guardarono negli occhi ed ebbero vergogna di loro stessi. Ci volle un minuto di silenzio imbarazzato perché tornassero a parlarsi. Trina decise che quello sarebbe stato il momento per chiarire le proprie intenzioni.

    «Fra poco le acque si saranno calmate.» disse rassicurante «A quel punto… torneremo indietro.»
    «Cosa?» Greyson era sbigottito ma non aveva più l’animo di imbarcarsi in un’altra lite, non dopo l’ammonimento di Sarah. Voleva però sapere il motivo di quella decisione.
    «Ho dovuto lasciare mio fratello a Savannah. Non potevo fare diversamente. Ma non ho intenzione di abbandonarlo.»
    Sarah, Charley e Greyson la guardarono negli occhi: videro senso di colpa e determinazione e capirono allora quanto le fosse costato allontanarsi da Savannah, anche solo per quel breve periodo. Trina sarebbe tornata indietro, in un modo o nell’altro. E loro? Loro erano scampati all’alluvione grazie a lei. Le dovevano qualcosa, anche tornare in città. Charley e Sarah pensarono subito al figlio Sam, indecisi se il rischio maggiore per la sua sicurezza fosse proseguire lungo l’Intracoastal Waterway o tornare indietro: il viaggio verso Brunswick sarebbe stato ancora lungo e difficile, mentre a Savannah il peggio doveva essere ormai passato. La guardia nazionale inoltre aveva già sicuramente inviato i soccorsi. Forse fare dietrofront era la scelta migliore. Con un muto cenno d’intesa – anche Greyson annuì senza apparire troppo rassegnato – presero la loro decisione.
    «Capisco. Se è questo che dobbiamo fare,» disse Charley facendosi portavoce di tutti «facciamolo. E che Dio ci assista.»
    «Grazie, Charley. Ma come ti ho detto Dio non c’entra niente. Siamo nelle mani del WORLDWEB, se non l’avete ancora capito: la colpa di tutto questo è solo sua.»
    «È vero:» assentì Sarah «Ha minimizzato il problema in modo inverosimile.»
    «Penso che abbia fatto di più. Penso sia stato volontario.»
    «Volontario?» inorridì Charley a quell’idea.
    «Io non approvo il modo in cui il WORLDWEB ci ha condizionato negli ultimi anni, ma non sono sciocca: una rete di informazione così vasta e puntuale non può sbagliare. Non in questo modo.»
    Era terribile pensarlo, eppure aveva senso. Se la Rete era infallibile, c’era solo una risposta al madornale errore commesso in merito all’alluvione di Savannah: erano state diffuse deliberatamente false informazioni. La vera questione era: perché? Una domanda scomoda che avrebbe rischiato di affogare inascoltata nelle acque dell’Intracoastal Waterway, se qualche altro “Cattivo Sognatore”, più all’asciutto di loro, non si fosse posto il problema.
      Share  
     
    .

Comments
  1. MaryBuscicchio
    view post
     
    .

    User deleted

    User deleted


    book terafin-grin
     
    Top
    .